Benvenuti su LaLaLab, questa è Booknotes, la nuova rubrica quindicinale che abbiamo deciso di dedicare all’intreccio, non sempre svelato, che spesso esiste fra la musica e la letteratura.
Quanti brani musicali traggono ispirazione da opere letterarie – citandole, riadattandole, trasponendole – e quante di queste contengono al contrario citazioni musicali e suggestioni sonore?
In entrambi i casi l’elenco sarebbe potenzialmente infinito e ricco di sfaccettature, e si dispiegherebbe a partire dai grandi classici fino alla narrativa più contemporanea, dalla musica classica al progressive rock.
L’ascolto di una determinata canzone vi riporta improvvisamente alla memoria un fatto del passato che credevate di aver accantonato in un angolo? Allora vi sentirete forse come Watanabe Tōru, protagonista del romanzo di Murakami, Norwegian Wood, quando alle sue orecchie riecheggiano le note del famoso brano dei Beatles.
C’è una musica che scatena in voi un sentimento incontrollabile, come la gelosia che domina gli impulsi di Vasja Pozdnyšev nella Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj, proprio a causa dell’omonima sonata per pianoforte e violino in la maggiore composta da Ludwig van Beethoven?
Se la risposta è si, allora questa rubrica farà al caso vostro.
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Il primo numero di Booknotes lo dedichiamo a una delle voci del cantautorato americano più iconiche di sempre, quella di Bruce Springsteen.
Di sicuro non stupisce che l’intera opera del Boss del New Jersey sia carica di influenze letterarie e che sia essa stessa da considerarsi come un significativo contributo alla letteratura americana.
Lo stesso Ennio Morricone, nella prefazione a Bruce Springsteen: come un killer sotto il sole (Leonardo Colombati, Sironi Editore, 2007) parla dal corpus delle canzoni di Springsteen come di una sorta di grande romanzo americano.
Springsteen, che ha cantato l’american dream in tutte le forme possibili e immaginabili, attinge inevitabilmente dal bacino letterario dei grandi autori che hanno ritratto l’America del Novecento, e i suoi brani danno voce soprattutto a una categoria di personaggi perdenti, emarginati, esclusi e delusi dalle aspettative di quel continente che per antonomasia è da sempre, e per chiunque, la terra promessa.
L’undicesimo album di Bruce Springsteen, The Ghost of Tom Joad, esce nel 1995 e ha un titolo particolarmente evocativo dal punto di vista letterario.
Tom Joad è infatti il protagonista di Furore, senza dubbio il più celebre romanzo di John Steinbeck, e l’album intero, a partire da questo spunto narrativo, crea spazio per una forte critica sociale centrando la questione sul forte divario fra i ricchi e poveri nella società americana e sulla questione dell’immigrazione.
The Ghost of Tom Joad è anche il titolo della prima traccia dell’album, nonché quella esplicitamente dedicata al protagonista del romanzo di Steinbeck.
Il sound che attraversa l’intero album non è più quello audace e urlato di Born to Run, né armonico come i versi delle tracce di The River o Human Touch; gli arrangiamenti, soprattutto acustici, rievocano l’atmosfera nera e cupa in cui sono costretti a destreggiarsi i personaggi cantati da Bruce.
La storia di Tom Joad e della sua famiglia inscena una condizione condivisa da altri circa 500.000 contadini delle pianure del Midwest, e in particolare dei territori dello stato dell’Oklahoma.
A causa della cosiddetta Dust Bowl, un fenomeno di tempeste di sabbia che colpì i territori del Midwest fra il 1931 e il ’39, rendendoli desertici e del tutto incoltivabili, e alle successive operazioni di espropriazione degli stessi terreni e delle relative fattorie portate avanti dalle banche, moltissime famiglie intrapresero un lungo viaggio verso la California, in cerca di nuovi sogni e di un nuovo inizio.
Men walking ‘long the railroad tracks
Going someplace, there’s no going back
Highway patrol choppers coming up over the ridge
Hot soup on a campfire under the bridge
Shelter line stretching ‘round the corner
Welcome to the new world order
Families sleeping in the cars in the southwest
No home, no job, no peace, no rest
Inutile dire che il viaggio della famiglia Joad verso l’Ovest è punteggiato da perdite e sofferenze e che il destino non ha in serbo nulla di buono se non un’ennesima atroce sconfitta a rimarcare un disagio esistenziale da cui difficilmente è possibile svincolarsi.
Prima ancora che all’opera di Steinbeck, Springsteen racconta di aver fatto riferimento alla trasposizione cinematografica di Furore, con la regia John Ford (1940) di cui resta impressa l’interpretazione di Henry Fonda nei panni dello stesso Tom Joad.
In particolare vi riproponiamo il famoso monologo di Tom, in procinto di dire addio alla madre quando si ritrova costretto a fuggire a seguito dell’uccisione di un poliziotto durante uno sciopero; lo sguardo fisso, la preoccupazione negli occhi della madre e quelle parole che, nella disperazione dell’intera vicenda, sanciscono una volontà di riscatto e di dignità che fanno di Tom un simbolo di fiducia e speranza; quelle stesse parole che Springsteen non può che mettere in musica, accompagnate dal suono della sua malinconica armonica.
Per approfondire vi suggeriamo una bella intervista fatta a Bruce Springsteen da Beppe Severgnini in occasione del tour di The Rising (2002-2003), e ancora la trasmissione “Steinbeck, Furore”, andata in onda il 2 ottobre 2017, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, dove Alessandro Baricco legge e spiega l’opera dello scrittore americano.
Extra:
Un libro
James Agee, Walker Evans – Sia lode ora a uomini di fama
Un album
Woody Guthrie – Dust Bowl Ballads
Ascoltalo su youtube!
Vi aspettiamo il 20 maggio per una prossima puntata di Booknotes!