Benvenuti su LaLaLab, ma soprattutto bentornati su Booknotes, la rubrica che abbiamo deciso di dedicare all’intreccio, non sempre svelato, che spesso esiste fra la musica e la letteratura.
La domanda è sempre la stessa: quanti brani musicali traggono ispirazione da opere letterarie – citandole, riadattandole, trasponendole – e quante di queste contengono al contrario citazioni musicali e suggestioni sonore?
Nelle precedenti puntate abbiamo parlato dei grandi classici del rock, da Bruce Springsteen a Lou Reed, di cantautorato italiano e di psichedelie in stile Woodstock, il tutto condito dalle migliori ispirazioni letterarie.
Ma la musica classica?
Pensate all’opera, un genere che ha in sé il connubio di molteplici forme d’arte (il canto, la musica orchestrale, il testo teatrale, il balletto) e capirete in che modo l’intreccio sia in questo caso un intreccio supremo. Basti pensare a come ad esempio il Don Giovanni, uno dei componimenti più celebri del corpus operistico di Wolfgang Amadeus Mozart, sia stato fonte essenziale d’ispirazione per molti classici della letteratura del Novecento.
È il caso di Vitaliano Brancati, che nel 1941 scrisse il romanzo del titolo evocativo Don Giovanni in Sicilia, e pochi anni dopo, nel 1949, l’ancor più drammatico affresco presentato con Il bell’Antonio, nel 1960 adattato per il grande schermo dal regista Mauro Bolognini, e di cui forse i lettori ricorderanno le interpretazioni di Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale.
Direte, certo che nell’opera la parola è una componente essenziale.
E le sinfonie, le sonate e i concerti?
Convinti di non rischiare l’insuccesso abbiamo fatto un po’ di ricerca e abbiamo deciso di proporvi una vera rarità, un intenso ménage à trois ultratemporale fra il pianista e compositore Claude Debussy, il poeta simbolista Stéphane Mallarmé e lo scrittore Anthnoy Burgess.
Verso la fine dell’Ottocento Debussy stava maturando la sua poetica proprio a partire dall’ispirazione della letteratura simbolista, frequentava i celebri mardis di Stéphane Mallarmé, momenti di incontro di tutti gli intellettuali della cultura parigina dell’epoca, e proprio su ispirazione di un componimento di Mallarmè scrisse, tra il 1892 e il 1894, il Prélude à l’après-midi d’un faune, inizialmente inteso come una vera e propria introduzione alla lettura dell’opera del poeta francese.
Considerato il prototipo dell’impressionismo musicale, il Preludio evoca la forte sensualità e il desiderio provato dal fauno di Mallarmé che, risvegliatosi nel pieno di un pomeriggio estivo e afoso, perde la testa nei confronti di una ninfa.
Ascoltando quella melodia di apertura, eseguita dal flauto solo, e lasciandosi trasportare dal ritmo dell’intero componimento e da quel senso di progressivo abbandono in cui alla fermezza della razionalità non può che seguire la forza della tentazione, Mallarmé commentò dicendo:
“La vostra musica, Debussy, prolunga l’emozione dei miei versi e rende l’ambientazione con più efficacia e passione di quanto non riuscirebbe a fare la pittura”.
In questo caso la relazione tra l’opera letteraria e quella musicale è pressoché diretta, seppure il preludio non fu mai eseguito nella sua concezione originaria di accompagnamento e sottofondo musicale per il poema di Mallarmé; la prima esecuzione ebbe infatti luogo il 22 dicembre 1894 presso la Société Nationale de Musique di Parigi suscitando un immediato successo, come dimostrò il pubblico richiedendo a gran voce che venisse eseguito il bis, e divenendo negli anni successivi il componimento orchestrale più famose di Claude Debussy.
Mallarmè d’altro canto, considerato il capostipite e il principale esponente della poesia simbolista francese, compose il suo poema circa quindici anni prima, nel 1876, e L’après-midi d’un faune rappresenta concretamente quello che l’espressione simbolista ha il compito di evocare: il superamento della realtà, il bisogno per mezzo dell’arte di cogliere l’essenza, la struttura profonda della vita, in questo caso la natura elusiva e sfuggente della tensione sensuale che intercorre e si sviluppa nel corso dei 110 versi alessandrini del poema.
A questo punto vi starete domandando quale sia il nesso tra Debussy, Mallarmé e lo scrittore britannico Anthony Burgess.
Burgess, il cui nome è soprattutto collegato al suo romanzo fantapolitico del 1962, Arancia Meccanica (di cui Kubrick restituì nel ’71 la celebre versione cinematografica) fu oltre che scrittore, compositore musicale di opere orchestrali così come per strumenti solisti e orchestra e di musica da camera.
Inizialmente indifferente alla musica, sembrerebbe che Burgess fu rapito proprio dall’ascolto del Prélude e da quel momento perseguì la sua carriera da compositore.
Decisamente in coda all’elenco di tutte le sue opere, è possibile rintracciare inoltre una raccolta di racconti, per la precisione una novella e otto storie brevi, dal titolo The Devil’s Mode (1989).
Un libro sicuramente di poco successo rispetto al curriculum dello scrittore, ma che fra tutti gli scenari immaginari di cui è composto (in uno dei racconti Shakespeare e Cervantes discutono di arte e sofferenza) accoglie anche la storia riscritta e personalmente interpretata dell’incontro fra il pianista Claude Debussy e il poeta Stephane Mallarmé.
Nella versione di Burgess i due artisti si incontrerebbero in Inghilterra, durante una tipica giornata uggiosa, con un cielo che avrebbe voluto far piovere, ma sorprendentemente, nonostante la lunga esperienza, fu incapace di farlo (“The sky wished to rain but, surprisingly in view of its long practice, did not seem to know how to”).
Per approfondire sull’opera di Debussy qui trovate la puntata di Lezioni di Musica di RaiRadio 3, oppure lo Speciale di RaiPlay Radio dedicato al Prélude à l’après-midi d’un faune, raccontato dal musicolo Massimo Acanfora Torrefranca.
Arrivederci al prossimo mese con una nuova puntata di Booknotes.