Benvenuti su LaLaLab, questa è Booknotes, la rubrica che abbiamo deciso di dedicare all’intreccio, non sempre svelato, che spesso esiste fra la musica e la letteratura.
La domanda è sempre la stessa: quanti brani musicali traggono ispirazione da opere letterarie – citandole, riadattandole, trasponendole – e quante di queste contengono al contrario citazioni musicali e suggestioni sonore?
Oggi abbiamo deciso di procedere in direzione ostinata e contraria e tentare l’esperimento inverso rispetto a quanto fatto fino ad ora; vogliamo quindi parlare di quei libri che a loro volta parlano di musica, contengono musica, la raccontano, la spiegano, la romanzano.
Per questo oggi vi proponiamo la nostra Booknotes Collection, una piccola raccolta bibliografica (ma non solo), che potrete leggere ascoltando, o ascoltare leggendo.
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La prima proposta che abbiamo selezionato per voi è un libro di Giulia Cavaliere, edito nel 2018 da minimum fax.
Stiamo parlando di Romantic Italia. Di cosa parliamo quando cantiamo l’amore, un lungo viaggio, come lo descrive l’autrice, nel discorso amoroso, ma soprattutto in quell’amore cantato e ascoltato, proveniente dall’immaginario pop unico nel suo genere evocato dalla canzone italiana, fatto di gelati, spiagge e jukebox, alberghi a ore di provincia, album di fotografia, lacrime ed estati destinate a concludersi, insieme a quegli amori passeggeri sbocciati durante una notte al chiaro di luna.
Da Domenico Modugno ai Matia Bazar, da Anna Oxa a Liberato, Giulia Cavaliere attraversa ottanta brani, fra i più celebri della canzone italiana, raccontandone la genesi, gli aneddoti dietro le quinte, la rassegna stampa dell’epoca con tutta la critica e i peggiori insuccessi, ma soprattutto lasciando trasparire le sue personali emozioni.
Ciascuno di noi in fondo possiede un proprio repertorio di canzoni che inevitabilmente riportano a galla memorie, o sulle quali proiettiamo le speranze del futuro, parole che cantiamo sotto la doccia o col pensiero, silenziosamente, mentre le ascoltiamo alla radio, lasciandoci trasportare in un turbinio di disparate sensazioni.
Se siete questo genere di lettori ascoltatori, Romantic Italia sarà per voi una affascinante sorpresa; se invece la carta stampata non fa proprio al caso vostro potrete averne comunque un assaggio ascoltando la versione in podcast, prodotta da storielibere e curata da Sara Poma.
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Il secondo suggerimento che proponiamo è il primo libro a fumetti del milanese classe ‘86 Lucio Ruvidotti, illustratore, grafico e fumettista.
A seguito di una prima stesura breve, realizzata in collaborazione con Danilo Deninotti e Giorgio Fontana per Pagina99, nasce Miles. Assolo a fumetti su richiesta di Edizioni DB che invita Ruvidotti a realizzare un progetto dedicato alla musica jazz per la collana Icone, fino a quel momento impegnata a raccogliere storie di vite di personaggi musicali nell’ambito del rock.
Il libro, spiega Ruvidotti in questa intervista presentata a IterFestival 2020, non vuole tanto essere una biografia, quanto piuttosto raccontare la musica di uno dei più grandi musicisti e compositori jazz mai esistiti, Miles Davis, il principe delle tenebre (the Prince of Darkness) che insieme alla sua tromba fu audace sperimentatore e innovatore nel panorama del jazz di tutto il XX secolo.
È dunque lecito domandarsi in che forma il disegno possa in questo caso raccontare e mettere in scena la musica.
A rispondere a questo interrogativo è proprio Giorgio Fontana nella postfazione al libro, descrivendo il tratto di Ruvidotti come l’unione perfetta di precisione e diversità, “un tratto nitido e un’intuizione formidabile per il colore” che ci trasporta attraverso “rapide discese nella fragile, geniale anima del trombettista, il tutto però unito in un accordo, in un quadro solido e coerente”.
Così le vignette stesse vi appariranno scandite, corte, quadrate, arancioni e geometriche per raccontare quello che fu il periodo bebop di Miles, un jazz frenetico, molto veloce, rappresentato da disegni dinamici; altre vignette, questa volta lunghe e lente, cinematografiche, rallenteranno la lettura, quando al centro della storia vi sarà l’incontro di Miles con Gil Evans, collega e amico, dalla cui frequentazione prenderà avvio il periodo del cool jazz, cool per dire calmo, rilassato, ma soprattutto cool come freddo, nella sua traduzione letterale.
Freddo proprio come fredde sono le tinte di cui si colorano le pagine del libro: blu cobalto, blu di Prussia e di Persia, Royal Blue, insomma, di quel Kind of Blue che Miles Davis incise nelle giornate del 2 marzo e del 22 aprile del 1959 insieme a una compagnia d’eccezione nello studio newyorkese della Columbia Records, a Manhattan, sulla 30a Strada.
Qui in anteprima il primo capitolo di Miles. Assolo a fumetti.
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La terza e ultima posizione di questa Booknotes Collection è dedicata a un libro che ogni appassionato di musica dovrebbe leggere.
Si tratta di Come funziona la musica, ultimo titolo di David Byrne, musicista, ma a dire il vero artista a 360°, produttore discografico di successo, nonché frontman e fondatore dei Talking Heads.
Il volume, edito in Italia da Bompiani nel 2014 (ed. originale: How music works, McSweeneys, 2012) non vuole essere un manuale d’istruzioni né un’autobiografia, forse entrambe le cose o nessuna delle due, nonostante la propria vita e l’esperienza lavorativa totalizzante di Byrne siano costantemente riflesse nella scrittura.
Come funziona la musica non va necessariamente letto dall’inizio alla fine, ma i capitoli affrontano tematiche ben determinate legate al mondo della musica, dalla creatività alla performance, passando per il businesseconomico alle spalle di una produzione discografica, fino al significato e l’importanza delle collaborazioni, dello scambio culturale fra diverse menti.
Con questo libro fra le mani non vi sorprenderà comprendere come una canzone non nasca semplicemente dall’ispirazione, ma sia il prodotto complesso di molteplici fattori: «prendete il 45 giri» vi spiegherà Byrne fra le altre mille considerazioni a cui non avreste probabilmente mai pensato, «dura quattro minuti, non permette di riprodurre al meglio le basse frequenze. Queste limitazioni riducono le decisioni possibili, perché un timpano o una grancassa sarebbero inutili».
Parlando di economia musicale vi incuriosirà scoprire aneddoti come quello riguardante la produzione di Grown backwards, album rilasciato nel 2004 dalla Nonesuch Records, che consegnò a Byrne un anticipo di 225.000 dollari; Byrne racconta di averne spesi 218.000 solo per la produzione, arrivandone a guadagnare 58.000 con le vendite…ma soltanto dopo diversi anni.
Dunque se il titolo potrà apparirvi “intellettualmente arrogante e allo stesso tempo francamente disarmante”, come scrive Michel Faber in questo articolo sul The Guardian, il libro offre senza dubbio una prospettiva fresca ed estremamente sofisticata, come sofisticata è la stessa musica di David Byrne.
Consiglio per gli appassionati: da leggere ripercorrendo in sottofondo le tappe discografiche, le performance dal vivo, gli allucinati videoclip dei Talking Heads.
Qui uno spunto.
Booknotes ritorna a novembre!