La vita rocambolesca di Giuseppe Bottai, gerarca tra i più importanti del Ventennio fascista, offre nuovi motivi di riflessione sulla recente e tragica stagione del nostro Paese. Bottai ha rappresentato una figura alternativa che ha creduto in un fascismo diverso. Si è battuto contro la violenza, la propaganda di regime, l’affiliazione al nazismo. Si è esposto in prima persona. Anche sui giornali da lui fondati.
Ha pubblicato libri censurati e articoli dei più grandi intellettuali antifascisti. Ha cercato di limitare le terribili conseguenze delle leggi razziali. Ha varato una norma fondamentale per difendere l’arte e il paesaggio italiano. Ha organizzato la «Resistenza dell’arte» per sottrarre oltre diecimila capolavori agli appetiti di Hitler. Lo ha fatto, al culmine del suo dissenso, promuovendo l’ordine del giorno che, il 25 luglio del 1943, ha determinato la fine di Mussolini e del fascismo.
E non si è fermato. Ormai cinquantenne, si è arruolato nella Legione Straniera: soldato semplice e sotto falso nome è andato al fronte a combattere i nazisti. Chi altro come lui? Quale altro ex ministro, fascista o no, ha riscattato le proprie responsabilità politiche al punto di rischiare la vita? Eppure, la figura di Giuseppe Bottai in Italia continua a risultare scomoda. Per i nostalgici del Ventennio è un traditore. Per molti antifascisti nessun protagonista di quella stagione ha diritto all’onore.
Angelo Polimeno Bottai (Roma, 1959) è un giornalista del Tg1. Responsabile della rubrica Libri, giornalista parlamentare e già vicedirettore. Saggista su temi di politica interna e internazionale su avvenimenti storici, è presidente di «EURECA, idee per l’Italia e l’Europa», associazione senza fini di lucro. Precedenti pubblicazioni: Alto Tradimento (2019); Non chiamatelo Euro (2015); Repubblica atto terzo (2012); Presidente ci consenta (2011).