Intervista a Tommaso De Lorenzis, editor dei primi tre romanzi della serie “Sara” di Maurizio De Giovanni, in occasione del secondo incontro di librinudi.
A quando risale il tuo primo incontro con Maurizio de Giovanni?
Leggo Maurizio praticamente da sempre, da quando i primi romanzi del commissario Ricciardi uscivano per Fandango. Ricordo che ai tempi mi colpì l’intuizione di incrociare il genere della ghost story con la grammatica della crime fiction. Introdurre un’istanza narrativa propria del fantastico (“I see dead people”, “Vedo la gente morta” per dirla con una celebre citazione) dentro il perimetro di un filone realistico come quello del romanzo poliziesco era un azzardo coraggiosissimo che non poteva passare inosservato. E infatti i lettori se ne sono accorti. La conoscenza personale con Maurizio, invece, risale al 2017, all’inizio del nostro rapporto di lavoro. Ero appena arrivato in Rizzoli e con Michele Rossi, che allora era il responsabile della Narrativa italiana, avevamo deciso di lanciare una collana di gialli e noir: quella che poi diventerà Nero Rizzoli. Pubblicare de Giovanni con un progetto forte e originale, concepito apposta per la nuova linea, era un sogno. Il sogno cominciò a diventare realtà a Napoli, nel dicembre di quell’anno, durante un pranzo in cui Maurizio ci parlò di Sara Morozzi, la donna invisibile, ex-agente della più riservata agenzia dei Servizi.
Cosa ti ha colpito della sua scrittura?
Maurizio ha un’estensione della scrittura impressionante. Riesce a coprire tutti i toni e i registri, passando con eccezionale disinvoltura dal comico al tragico, dall’action all’introspezione, dalla costruzione della suspense allo sviluppo delle dinamiche sentimentali. Ha una penna che può far tutto e scrivere di tutto rimanendo sempre credibile. Poi possiede una particolare abilità nel disegnare i comprimari. Come un grande film ha bisogno di grandi caratteristi nei ruoli secondari, così un grande romanzo necessita di figure plastiche e a tutto tondo che affianchino i protagonisti. In questo de Giovanni è un vero maestro. Il brigadiere Maione, Bambinella e perfino Boris, il mastodontico Bovaro del Bernese che nella serie di Sara è il quarto elemento del gruppo, sono personaggi irresistibili e memorabili.
Quale aspetto o intervento specifico del tuo editing ritieni abbia influito maggiormente nella realizzazione del prodotto finale?
Credo che nel lavoro di editing conti sempre e soltanto il risultato finale, quella particolare alchimia in cui i segni dei singoli interventi si perdono nell’insieme. L’editor non deve lasciare tracce. Se c’è un problema, spesso la soluzione migliore è alternativa sia a quella presentata dall’autore in prima battuta sia a quella suggerita dal suo sparring partner editoriale. È un’opzione che nasce dal confronto e dal ragionamento condiviso. Vengo dall’underground della Bologna anni Novanta, ho collaborato a lungo con l’atelier di scrittura Wu Ming, confido nella dimensione collettiva del raccontar storie. Forse è il brainstorming l’aspetto su cui mi sento di insistere: la discussione preliminare alla stesura in cui ci si confronta sugli archi narrativi dei personaggi, sulla loro evoluzione drammatica, sullo sviluppo delle cosiddette “linee orizzontali” che in una serie sono elementi imprescindibili.
“Gli occhi di Sara” è il quarto romanzo della serie che vede protagonista la donna invisibile. Quali pro e contro presenta dal tuo punto di vista l’editing di un romanzo che fa parte di una serie?
Una serie ti costringe a immergerti con cadenza annuale in un universo narrativo in cui ritrovi personaggi che finiscono per accompagnarti come se fossero persone in carne e ossa. Li vedi crescere, evolvere, cambiare, sbagliare. È un’esperienza che si protrae nel tempo assorbendoti e sovrapponendosi alla vita reale. Bisogna tenere insieme questo mondo, evitare che non ci siano incongruenze tra un libro e l’altro, avere sempre sotto controllo le backstory – ovvero i trascorsi – dei personaggi. Soprattutto, bisogna capire come sviluppare il to be continued. Nella metrica delle serie un elemento fondamentale è la tecnica del cliffhanger, cioè il taglio, l’interruzione, della storia su un picco tensivo, nel pieno di un colpo di scena o di un momento caratterizzato da forte suspense. Sapiente interprete della narrazione seriale, Maurizio è bravissimo a gestire la progressione delle storie da un volume all’altro.
La struttura di quest’ultimo romanzo ha presentato delle differenze rispetto ai precedenti?
Gli occhi di Sara è un grande romanzo sul passato. Anzi: sulle imprevedibili conseguenze che il passato continua a determinare nel presente, quasi fosse una sostanza che rilascia i suoi effetti in un tempo lunghissimo. De Giovanni ha evocato il “butterfly effect”, quel principio in virtù del quale impercettibili modificazioni nelle condizioni iniziali producono grandi variazioni al termine della catena degli eventi. È il proverbiale battito d’ali di una farfalla che provoca un uragano all’altro capo del mondo. Ecco, in questo romanzo Maurizio analizza il “butterfly effect” nella vita di Sara Morozzi mettendo in scena il legame invisibile che lega alcuni fatti dei primi anni Novanta all’oggi. “Il destino si scrive all’indietro” è la frase che sintetizza alla perfezione il senso del libro. Questi temi sono resi sulla pagina attraverso la tecnica narrativa del montaggio parallelo che alterna eventi avvenuti in luoghi diversi e in tempi diversi. La gestione di personaggi rappresentati in momenti differenti della loro esistenza è sempre un esercizio complesso, perché si tratta di rendere verosimile quel misto di identità e differenza, di permanenza e cambiamento, che rappresenta l’evolvere degli esseri umani nel tempo. Letto in questi termini, Gli occhi di Sara è un congegno narrativo perfetto che illumina di luce nuova la figura di Sara rilanciandone l’azione.
Curiosità: quale/i libro/i stai leggendo in questo periodo?
La Q di Qomplotto di Wu Ming 1, edito da Edizioni Alegre: un “oggetto narrativo non identificato” che ricostruisce con grande acume il fenomeno di QAnon esplorando l’abisso in cui si formano le “fantasie di complotto”.
Il diritto dei lupi di De Bellis e Fiorillo (Einaudi): un legal thriller che vira verso la commedia grottesca, ambientato nella Roma del primo secolo avanti Cristo, con Marco Tullio Cicerone tra i protagonisti.
E I tuoni di Tommaso Giagni (Ponte alle Grazie) che è molto più di un romanzo sulla periferia. È un libro che a venticinque anni da un film cult come L’odio indaga in modo magistrale i grandi temi dell’identità e dell’appartenenza.